
Milano – Roma, Febbraio 2022
Nella attuale, tremenda “tele-vita”, in cui il distante sembra avvicinarsi tramite lucidi schermi ma il vicino senz’altro si distanzia – per via del contatto, parola tabù – il lavoro da fare è e sarà sulla relazione tra le persone. Sui corpi, i corpi degli altri. I corpi degli antichi cori che sostanziavano e incarnavano le feste arcaiche, nostre maestre (vedi i Castells di Tarragona, qui sopra: ed era solo il 2016; ma potrei aggiungere le Fallas di Valencia, e tanto altro di latino).
Chi si occuperà di chi è realmente vicino? Noi. Non siamo soli.
“È festa nel tuo cuore, / Festeggia in qualche modo / Il cuore degli altri”
(F. Arminio, 2022)
Greccio e il Primo Presepe
Mi accingo a osservare, studiare e conoscere il patrimonio di Greccio e del suo primo presepe del 1223. Per semplicità lo sintetizzerò in Greccio, intendendo luogo e storia, cultura, memoria, festa. È un cammino personale, come personale è la scelta di qualche immagine a intercalare il discorso; non immagini di Greccio (moderne o di iconografia varia a partire dal Giotto assisano), ma immagini di senso e per così dire di profondità.
Greccio è: Luce.
Rileggendo fonti note ma sempre stimolanti come la “Vita Prima” di San Francesco, scritta quasi coeva da Tommaso da Celano, l’evento o accadimento di Greccio è una “notte chiara come pieno giorno”.
Perché: “uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte”.
Perché Greccio è: Coro, comunità di persone in cammino, di tanti corpi. La Stella ne è il frutto.
Greccio è: Canto.
“La selva risuona di voci, e le rupi imponenti echeggiano suoni festosi.” Francesco parla ma soprattutto canta, al centro di “un gaudio mai assaporato prima”.
Risuona inaudita la selva, perché Greccio è: Natura.
Greccio è: Corpo.
Francesco aveva detto: “vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme… vedere con gli occhi del corpo… come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
(Di nuovo, Natura: creatura fra le creature della Terra).
Il Bambino nato a Betlemme – e leggiamo addirittura del suono uscito da Francesco nel pronunciare Betlemme, “come un belato di pecora” – è un corpo sul fieno, quel fieno che poi “guarì persone e animali” e mitigò parti faticosi e dolorosi per aiutare la vita anche nel suo generarsi.
Tutto sembra tenersi, a fondare un mito e un rito che si può rinnovare con una originale potenza comunicativa e aggregativa.
Basta ascoltare Papa Francesco, la lettera “Admirabile Signum”, dove la meraviglia è un corpo da sentire e da toccare, frutto della tenerezza di Dio: la ternura de Dios, l’amore che ha cambiato la storia.
Il teatro vero e puro di San Francesco, di opera e narrazione, con l’essenzialità della mangiatoia – greppia (unico segno evangelico, secondo Luca) e attorno soltanto due animali, è un vuoto da riempire di gesto e pensiero, ed è un pieno da vivere. Senza paura: “Non temete”, disse l’Angelo nelle stesse pagine.
La storia e le memorie ci vengono in soccorso, anche prima del 2023 e dell’8° Centenario:
1972, prima rievocazione a Greccio;
1992, gemellaggio con Betlemme.
Sono anche questi dei “tempi del senso”, possibili celebrazioni che anticipano l’anno e lo preparano, lo fanno attendere in una lunga veglia attiva e collettiva; sono possibilità straordinarie per arrivare al Natale 2023 con sentimenti condivisi, beni comuni immateriali, culture comunicate e partecipate per cui la festa dell’anniversario non sarà solo un evento ma il culmine di un percorso già avviato e destinato a prolungarsi, idealmente a durare con altre scadenze tra 2024 e 2026.
Siamo in un tempo e in un luogo, Greccio e Rieti – umbilicus Italiae, anche la geografia ci è amica! – in cui riflettere su di noi, sul nostro presente e futuro. Tutti. Tutti perché siamo al centro; e siamo al centro perché riguarda tutti.
Quelle parole sopra elencate – Luce, Canto, Corpo/Coro, Natura/Terra – che insieme componevano, anzi compongono una incantata e illuminata notte che “sembra tutta un sussulto di gioia”, sono delle straordinarie ispirazioni e aspirazioni sia per nuove committenze artistiche, interdisciplinari tra musica, land art, teatro/danza, dialoghi tra scienza e arte; sia per progettare e coordinare iniziative di ascolto e dialogo delle comunità, reti nuove (allargandosi da Greccio all’Italia e oltre, centrifughi da quell’ombelico).
Perché sono temi enormi, mondiali. Sono il nostro futuro, la nostra vita.

L’ultima data “tonda” che potremmo ricordare in un 2022 di veglia: 1972, la biglia blu (the Blue Marble) ripresa da Apollo 17. Quando smettiamo di andare sulla luna, ci regaliamo la più bella foto del nostro pianeta, unico e solitario; la più nitida, perché la luce solare arriva dappertutto.
Al di là di quell’obiettivo ci sono due occhi, solo due; al di qua, i nostri. Miliardi. Tutti.
Da allora, dopo averlo visto con tanto amore, riflettiamo sul pianeta e sulla natura, sulla vita delle creature, sul destino forse segnato dell’Olocene che eravamo abituati a considerare “nuovo Eden” e sul complicato Antropocene, che ci sfugge di mano. E sempre di più prendiamo coscienza della nostra fragilità, del nostro bisogno di cura. Creato e creature.
Andare avanti, oggi, vuol dire tornare alle origini, a quella sintesi di luce/corpo/natura, davvero all’ “amore che ha generato la storia”.
Re-birth. Re-wild. Meglio detto: Rinascere. Respirare (nel moto di pausa e sosta tipicamente giubilare). Nella pandemia abbiamo capito, sentito, che respiriamo al 30% del nostro potenziale, tradendo il respiro inizio di tutto, l’alito di Genesi, la vita inspirata nel naso come un Atmen. Il respiro è vita e la vita è respiro; il respiro è la relazione di corpi che devono farsi sottili, diceva Steiner, maestri di un fare / non fare. Insieme.
Risentiamo San Francesco nel Cantico citato, che a sua volta diede inizio alla nostra letteratura.
Le creature e prima ancora gli astri e gli elementi che ci circondano, in un insieme fondativo e indivisibile: frate Vento; sor’Acqua “la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”, frate Focu “per lo quale enallumini la nocte; ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte” (a quanti e quali artisti affidare questi versi, sulla gioia e la forza della luce che illumina la notte?); e sora nostra matre Terra.
Insomma, riprendere in mano l’opera di Francesco a Greccio, otto secoli dopo, nella natura di Greccio e della Valle Santa, tra i santuari e le grotte, sotto il Terminillo, a fianco del Velino, lungo il cammino francescano, dove nacquero la Regola e il Cantico, è un’occasione straordinaria per fare memoria su quel neonato Re Povero, su quel Bambino che (come a Tarragona) dovrebbe stare in cima, capovolgerci (“exaltavit humiles”!) per rifletterci tutti, rovesciarci per cambiarci. Per rinascere, ancora, con un Bambino.
Come Francesco, di ritorno dalla Terra Santa, proviamo a costruire una nuova narrativa, antinarcisistica e antindividualistica; a riconnettere comunicazione e comunità – visto che oggi non stanno più insieme.
È un respiro, nostro e della Natura che lo pretende, che richiede un nuovo Cantico e ci chiede di comporlo, di rappresentarlo, di farlo risuonare.
Greccio, la terra di Greccio è acqua, energia, grano. È Vita.
Oltre gli slogan, sono concetti che da locali si fanno subito globali, e ritornano locali come azioni, esperienze concrete. Li ritroviamo quasi identici nei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda Onu 2030, o nei criteri ESG (Enviromental, Social, Governance).
Teniamoci una parola – mantra di questi anni, e cerchiamo di penetrarla: sostenibilità. La capacità di durare, di far risuonare a lungo come il sustain pedale del pianoforte.
Da queste riflessioni di fondo epperò concrete, piene di storia e memoria, di natura e di corpi, di pensiero e creazione, si possono già immaginare:
– Un tempo lungo di eventi, progetti, percorsi;
– Feste, celebrazioni, manifestazioni, festival a segnare questo lungo percorso;
– Luoghi concentrati a Greccio ma estesi anche a Rieti, nella Valle Santa, in quel centro tra Lazio – Umbria – Abruzzo – Marche (così debole, sismicamente colpito, da rappresentare bene la dialettica fragile/antifragile) diventa emblematico per l’Italia e anche oltre;
– Un’estensione temporale che coglie tutte le opportunità di questo quinquennio, dal circuito delle capitali italiane ed europee in successione (22: Procida, un’isola; 23: Brescia e Bergamo, una ricostruzione; 25: Nova Gorica e Gorizia, una pacificazione ), al Giubileo del 2025 che da sempre è il riposo della terra e dell’uomo;
– L’esperienza più intensa del gemellaggio con Betlemme e la custodia francescana dei luoghi santi, a partire dall’anniversario imminente del prossimo dicembre (la riflessione di Francesco di ritorno dalla Terra Santa, otto secoli fa: come riviverla?);
– Processi lunghi di riflessione collettiva, di ascolto delle comunità, di dialogo e cocreazione sulle parole guida elencate sopra (e altre), rivissute e anzi re-incarnate oggi – dove la contemporanea re-incarnazione avrà espressione artistica, ma sociale e pubblica;
– Noi tra le creature; noi insieme; noi corpi e coro di corpi; noi che davvero ci preoccupiamo di chi verrà, del dopo di noi. Della cura, e delle nuove nascite. I bambini e le bambine che, oggi, cambieranno la storia;
– Committenze artistiche sui concetti/linguaggi accennati: la luce, il canto/suono, l’arte ambientale; e il corpo, il coro di corpi, le arti del movimento e della performance;
– Relazione lunga e sedimentata con le scuole, a partire dalle primarie, per dare un senso a quel rovesciamento citato (i bambini e le bambine, re e regine);
– Provare a lavorare, a dire, a mostrare, a essere per tutti. Insistere su concetti aggiornati di accessibilità. Una festa è di tutti o non è.
– Tutti “devono andare al Presepe”, e tornare a casa pieni di quella gioia mai sentita prima.
L’ultima immagine, da Chernobyl. I misteriosi cavalli selvaggi comparsi da chissà dove e chissà come dopo i nostri disastri del 1986.
La Natura, opposto di Moritura.
